Mirko Ronzoni

Sarebbe facile inquadrarlo come il vincitore di un programma televisivo, ma credo fermamente che, anche senza quello, oggi staremmo parlando con lui di qualche suo successo.
Per chi come me non ha il tempo di vedere la tv, chef Ronzoni potrebbe essere una piacevole scoperta.
Il background ci avvicina, la professione anche, e per questo rispecchiarmi in molte sue parole è stata piacevole, incoraggiante in un periodo buio e nefasto come questo.
Mi conforta anche che, in tutta quella tv che non vedo, il vincitore di Hell’s Kitchen ha sicuramente meritato il successo che ha ottenuto. Non per quello che ha prodotto in trasmissione, ma per la capacità di trasformare nel tempo la momentanea realizzazione in una solida visione. Non un fuoco di paglia che si estingue in favore del futuro vincitore scomparendo nel silenzio dell’etere.
Il tempo a chiacchierare, per quanto intenso, purtroppo è stato poco per approfondire il suo pensiero, ma come dice il saggio: non fermarti a quello che è stato, muoviti che hai un lavoro da fare.
Ovviamente ci sono state domande e risposte, ma non credo nei questionari e mi piace di più l’idea di raccontare il suo pensiero. Perché a trascrivere una risposta ci vuole poco, ma i dialoghi sono fatti di emozioni e quelle non andrebbero mai sterilizzate.
Mirko oggi è un consulente, un aesthetic chef per scelta, ma vi prego non fermatevi alle apparenze. Vi ingannerebbero.
Parole strane e consulente non voglio dire ruba stipendi e ciarlatano, ma una visione di lavoro e di professionalità che nella nostra italica mentalità ancora oggi difficilmente riusciamo ad accettare ed interiorizzare.
Cura anche su intagram rubriche interessantissime.
Consulente per scelta e per vocazione, ma soprattutto per occasione. Occasione di essere indipendente in primis. Indipendente di essere ogni giorno diverso, di sposare progetti e idee senza monotonia.
La tv dunque arriva presto, a 25 anni, ma questo non vuol dire che prima non ci sia stata passione e attenzione a questo splendido, terribile e insopportabile professione.
Dalla scuola al piccolo schermo ci sono tante piccole grandi esperienze, stellate e non, Londra croce e delizia di tutti gli expat che ti entra nel cuore. Solo fin quando non arrivi a odiarla e rimpiangerla come una bella donna, ma con un fil rouge: la passione per l’esplorazione. Dei limiti, delle possibilità, della fiducia e di cosa sia la ristorazione.
Professione oggi in crisi per poca imprenditorialità e tanto accanimento, il ristornate per lui non è un ristagno da cui mungere uno stipendio, ma una vocazione. Vocazione a interpretare tutti i ruoli da protagonista. A quel punto essendo italiani, sognatori e ristoratori per vocazione – chi non conosce almeno un commercialista o un avvocato o un medico che non abbia aperto il proprio ristorante solo per dare sfogo alle proprie passioni culinarie e soprattutto bevitorie – penseremo che il primo obbiettivo di Mirko, dopo la tv, potesse essere aprire il proprio boudoir.
Avere un posto da riempire con tutta la sua istrionica personalità e “baffitudine”.
Ecco allora che per la prima volta possiamo renderci conto di quanto sia giovane, appena scavallato il crinale dei trenta quando il corpo inizia a ricordarti che i venti sono più lontani di quanto vorresti ammettere, momento in cui le cicatrici di cosa voglia dire gestire sono ancora troppo fresche per far vincere l’istintivo masochistico desiderio di stabilità.
Carbonaro, carbonara, Olè!
Merluzzo Carbonaro d’Alaska cotto a bassa temperatura in olio evo, zabaione salato, spuma a sifone di pecorino, bacon caramellato in osmosi e germogli di pisello:
Ricetta:
Ovviamente nessuno – si spera – può programmare di vincere certe trasmissioni, ma sicuramente lo spirito che lo ha sempre contraddistinto è stato il primo passo verso un futuro che non solo ha sempre sentito come suo, ma che ha fortemente voluto proprio nel momento in cui tutto il mondo avrebbe spinto per capitalizzare cristallizzandosi.
Stipendio assicurato e futuro certo sono attraenti, a volte anche un melanconico ricordo. Mise en place, staff food, sala piena, cliente da salutare sono nostalgici ricordi, come possono essere l’ultimo anno di liceo: ti rimangono dentro e a volte sogni di tornare in dietro di 10 anni a momenti migliori.
Oggi la sua vita è diversa e non vede nel suo futuro qualcosa di diverso da quello che ha fortemente voluto e combattuto per costruire. Poi vale sempre l’adagio: fortunati è bello, bravi è giusto, entrambi è meglio.
Se ritenete che cucinare sia emozione e tramettere emozioni il nostro Ronzoni ci ricorda come spostandosi tra catering e aperture si possa imprimere il proprio marchio emotivo, trasmettere e cercare il contatto con i propri ospiti.
Lo stile di cucina di Mirko fa parte della nostra grande famiglia dei modernisti – se no che cosa cavolo ci farebbe in un magazine come il nostro, penserete – ma soprattutto è modernista.
Il suo pensiero: cucinare oggi vuol dire saper incontrare i “non detti” desiderati delle persone. Decide di offrire tradizione attraverso la rivisitazione, ma con un occhio sempre e comunque alla sua sostenibilità economica ed ecologica.
Accendere tanti piccoli fuochi che portino le persone a tornare a gustare, senza però cedere all’ego dello chef. Figura che troppo spesso annichilisce le capacità di giudizio e che rendono, o renderebbero, proprio necessari i suoi servizi.
Non fa parte dei gourmet addicted, deformazione professionale o difetto di gioventù non saprei dirlo, ma sicuramente capace di imprimere istintività e naturalezza nei gesti. La creatività è per lui innata e non forzabile – Ferran aiutami tu – ma che sa ormai imprimere nei propri progetti al servizio del cliente. Talento che molti dei suoi colleghi credono di padroneggiare e che purtroppo non posseggono.
Mi è piaciuto molto il suo punto di vista: la resilienza è la più grande caratteristica umana. Dopo la tendenza al masochismo (questo l’ho aggiungo io).
Imprenditorialmente ci affacciamo ad un abisso di possibilità dove il ricambio di attività speriamo possa “ripulire” il mercato in favore del consolidamento. Sopravvivranno quelle realtà che hanno un forte progetto imprenditoriale alle spalle, può anche spingere molti ad aprire nuovi locali con maggiore saggezza e capacità.
Se avete dei dubbi e vorreste non buttare i vostri soldi vi consiglio di chiamarlo e risparmierete delle sonore scottature, a un decimo di quello che vi sarebbe costato perdurare nelle masochistiche passioni verso il fallimento.
I gusti dei clienti non sono cambiati e presto torneremo a riempire i locali esattamente come lo facevamo prima della crisi. Resilienza. Ma nella sua personale resilienza vorrebbe che i locali sempre di più riscoprissero e reinventassero. Sarà di parte e tirerà acqua al suo mulino, ma perché no. Non tutti possiamo essere avanguardia.
Se vogliamo chiudere e dobbiamo chiudere, bisogna sempre farlo guardando al futuro e mai al passato. Quindi voglio chiudere con il suo unicorno, quel progetto che ancora, nonostante la clausura e il mondo che ci dipingeva come untori, non è riuscito a portare a termine:
diventare un pasticciere migliore.
Se un difetto ha, e lo abbiamo in tanti da questo lato della cucina, la pasticcieria monoporzione da esposizione ancora lo sente come il suo progetto per quando diventerà grande.
Quel quid che ancora manca e che sicuramente nel 2021 o quando avrà tempo, e personalmente spero per lui che mai lo trovi perché vorrebbe dire che il successo non lo ha abbandonato, forse smetterà di sfuggirli e potrà rendersi più completo. In fondo a 30 anni possiamo aspettarci da lei grandi cose per il futuro chef Mirko Ronzoni.
Articolo di Guglielmo Arnulfo (www.moderngastronomy.it)