Lello Favuzzi

Mortimer House kitchen – London
Lello Favuzzi ed io, lui non se lo ricordava, ci conosciamo ormai da parecchi anni. Ci siamo incontrati a Londra ai margini di quello che sarebbe stato poi uno dei momenti più catartici della sua e della mia vita.
Se io ero sull’orlo del prendermi una pausa dai ristoranti londinesi, lui invece era sull’orlo di un passo enorme in avanti della sua carriera. Quindi ammetto che, magari, potesse non essere tra i suoi primi pensieri ricordarsi chi fossi.
Quando l’ho chiamato, abbiamo passato più tempo a parlare – quasi come fossimo due comare – delle amicizie in comune che di quello che ha fatto e che sta facendo. Non per altro che non lo sapessi già, ma raccontato da lui ovviamente da un senso a molti dubbi che mi erano rimasti in testa.
Lello arriva a Londra ormai due decenni fa, a gli albori degli anni duemila. Ovviamente era più giovane e parlava ancora bene l’italiano. Adesso invece la nostra chiacchierata è stata fatta in una sorta di neolingua tolkeniana, dove l’italiano viene mischiato a parole e concetti inglesi in modo continuo da entrambi. Un po’ come se si fossero ritrovati due paesani di provincia che parlano nel loro dialetto. Da non confondere con l’italo americano assolutamente. La nostra è una vera e propria lingua che appartiene solo a gli italolondinesi.
Ma l’accento di base suo rimane sardo, un che di familiare della provincia di Olbia, ma mamma e papà sono siciliana e pugliese. E se i primi anni a Londra sono di adattamento, quando si unisce al nascente “L’Anima” che davvero inizia a mostrare chi sia e cosa possa diventare.
Tanto che alla fine, in quel periodo di cui parlavo prima, è esattamente quando prende in mano il ristorante, il caffè e se li carica sulle spalle in solitaria.
L’Anima per chi non abbia mai frequentato l’underground della ristorazione italiana a Londra, è sempre stato quel ristorante che non capisci perché non riceve mai i riconoscimenti che merita.
Long story short se Lello era li alla nascita del ristorante e purtroppo è stato li anche quando ne ha dovuto annunciare la dipartita. Troppi progetti e false partenze. Troppi se e ma, che purtroppo nel nostro mestiere alla lunga non fanno altro che togliere spinta a certi progetti. Allora meglio staccare la spina e seguire qualcosa di nuovo.
Non che il tempo nel mezzo non sia stato clemente con lui. Tra vacanze, sole, mare risate e grigliate comunque il nostro Lello ha saputo capitalizzare la sorte come pochi che io conosca. Ospite di Masterchef uk nella puntata che si è tenuta nel suo ristorante, la vera notorietà la raggiunge qualche anno dopo quando accompagna il vip ipovedente Amar Latif nella versione Celebrity Masterchef. Cosa che lo rende, e non solo a parole ma lo si può percepire tutto nell’energia che emana parlandone, estremamente fiero e felice di aver fatto. Soprattutto perché ha avuto il piacevole risvolto di averlo connesso con il cuore pubblico. Questo ovviamente aprirà tante porte, alcune si sono già aperte. Altre forse si apriranno. Una vera sliding door.
Parlando però mi sono reso conto di quanto tutto questo sia un mondo a cui non si senta di appartenere. Il tema, infatti, che è uscito spesso, a cui siamo tornati più volte è la volontà di rimanere distaccato, non farsi inglobare nel sistema. La paura di diventare uno chef d’immagine quando lui vuole essere sostanza. Collaborazioni si, fama si, ma alla fine tutto deve tornare all’essenziale: la cucina. E se Ramsey arriva a condurre quiz show, questo non vuol dire che sia la strada a cui aspirare. Non esempio, ma monito. Avvisaglia di come, un grande chef e un grande imprenditore possa alla fine diventare – pur di rimanere nella sua posizione mediatica – qualcos’altro. Chef che sia chef, ecco il mantra.
E non ci sono critiche o moralismi nei suoi discorsi, non si vuole discutere scelte e aspirazioni di colleghi o amici, ma un semplice monito per sé stesso nel rimanere sempre fedele al proprio io e al proprio retaggio.
E forse è proprio l’ambiente in cui si trova adesso, il Mortimer House, club privato come solo gli inglesi sanno fare, ma al tempo stesso spazio di co-working e tanto altro, che ha permesso a Lello di trovare questo equilibrio che lotta per difendere da sé stesso e dal suo ego. Il fatto di lasciare un ristorante che dire di successo è poco, all’inizio della fama personale, finalmente sotto il riflettore personale e ritrovarsi invece dove l’obbiettivo non è compiacere l’ospite.
Affiancare i soci nei momenti topici della sua giornata, con la sola pressione di farli stare bene. Ecco allora che forse è stato il primo monito di come tutto sia volubile nel nostro mestiere. Non necessariamente peggiore, anzi penso che meglio di così lui non possa stare. Addirittura meglio starà in un ristorantino con pochi ospiti e ci sarà tempo per quello. Ma non sai domani cosa possa succedere e al tempo stesso devi sapere chi tu sia, per non perderti in un business che ti fagocita e ti sputa in un attimo.
Oggi è fautore di una cucina che sente sua, ispirata dal mediterraneo e dalla terra. Una cucina dove il vegetale è padrone e domina. Ispirata dai sapori della terra di Canaan e soprattutto del Gush Dan, senti la libertà e la gioia dalle parole dello chef anche solo a raccontare le sue giornate.
Senti la serenità del lavorare, anche in questo periodo così volubile, accanto a persone che credono in lui, nel suo lavoro e che ne vogliono esaltare le qualità.
E se una rondine non fa primavera, ma due forse ne fanno un segnale, bisogna dire che se ultimamente tante persone hanno creduto in lui – alcune addirittura da ritenere non pensabile continuare dei progetti quando se ne fosse andato. Allora forse dovremmo prestare maggiore attenzione a questo quarantenne che ancora porta con sé la passione del quattordicenne che entrò per la prima volta in una cucina.